HUMAN BOX

 

Foto da performance HUMAN BOX [dettaglio interno]
(Lecce, PrimoPiano LivinGallery - ph D. Manco)

"...Non fosti tu ad innalzarmi

Sul piedistallo in cui io sono

Le tue leggi non mi costringono

Ad inginocchiarmi grottesco e nudo

Io stesso sono il piedistallo

Di questa turpe gobba che stai a guardare

E tu che vuoi conquistare pena

Devi imparare cosa mi rende gentile

Foto da performance HUMAN BOX
(Lecce, PrimoPiano LivinGallery)
(ph D. Manco)

Le briciole d’amore che mi offri

Sono le briciole che mi son lasciato dietro

La tua pena non ha credenziali qui

E’ solo l'ombra della mia ferita

Ho cominciato a desiderarti

Io che non ho credo

Ho cominciato a cercarti

Io che non ho bisogni

Dici che te ne sei andata

Ma posso sentirti quando respiri

Lasciandoti andare sul fianco

Nello spazio di sogni introiati

Ora ciondola la stanza bagnata

Prosieguo dei fiati ascoltati

Rivestendo e coprendo le armi

Non ti chiedi mai niente di noi

Non vestire gli stracci per me

Sentendo che tu non sei povera

toccarti vestendo curiosità

Quando sai di non essere sicura

Aprendo le vesti mi accorgo

…È la tua carne che indosso"

(Massimiliano Manieri)


Foto da performance HUMAN BOX [dettaglio interno]
(Lecce, PrimoPiano LivinGallery)
(ph D. Manco)


Foto da performance HUMAN BOX
[dettaglio da lato aperto]
(Lecce, PrimoPiano LivinGallery)
 (ph S. Schirinzi)

CONCEPT

Ad alcuni lavori ci giungi per processo evolutivo, altri vengono bevuti a ridosso di una commissione da sbrigare più per esigenza giuridica che di pancia, ad altri fortunatamente credo si arrivi per bisogno quasi fisico.
Human Box è stato questo per me, un bisogno fisico di mostrare il livello odierno di immobilismo confezionato a cui uomo e donna nei rispettivi modi di essere sono alacremente e docilmente sottoposti.
Human Box non è un semplice contenitore di corpi, è la mia idea di simulacro/vetrina dell’oscenità umana oggi ed in contemporanea, la cruda esibizione della nostra capacità di pensare liberamente.
E’ il totem ultimo della nostra reale voglia di fuga nell’impero del tutto precotto, tutto pronto, cuoci in padella in tre minuti tre.
Non è soltanto una trappola per canarini, ma una gogna multistrato cosciente di impossibilità di evasione, illuminata sufficientemente da essere ottimamente visualizzabile anche agli occhi ciechi.
E’ l’Alcatraz luminescente edificato nelle nostre stanze, tra chiavette, password e ram di memoria disponibile. Il futuro non è chiaramente disponibile.
Uomo e donna sono sfacciatamente esibiti in una nudità resa cruda dall’asetticità desiderata intorno.
Human Box non è dove voi verrete in realtà a visitarlo, Human Box è in ogni casa, sotto i vostri occhi ormai appannati.
E, fortunatamente, per qualcuno, nella paura di ritrovarvisi rinchiuso.
Non è un palco per nudità esibite, ma una comodissima scatola da trasporto per una coppia di corpi, vivi...?
(Massimiliano Manieri)

Foto da performance HUMAN BOX [dettaglio interno]
(Lecce, PrimoPiano LivinGallery - ph D. Manco)

RECENSIONE CRITICA
Intendo strutturare il mio intervento in due distinte sezioni: la prima oserei definirla presentazione della “presentazione”, mentre la seconda, come richiestomi, si concentrerà evidentemente sull’installazione che questa sera ci verrà presentata.
Per quanto fugace, infatti, ne possa essere la sorte o la permanenza, come nello specifico caso di un’installazione, che, per sua stessa definizione, nasce per morire in breve tempo (anche se non necessariamente per non “risorgere”), la presentazione, infatti, svolge nella sua vicenda esistenziale, un ruolo di prim’ordine, per nulla trascurabile. Una presentazione, in altri termini, legittima, se vogliamo, istituisce, l’entrata nel collettivo di un’individualità nuova, rinnovata dall’atto stesso di essere introdotta in questo collettivo. Ora, è ben vero che, a sua volta, con il suddetto collettivo ci si relazioni sempre nelle sue forme, per così dire, istituzionalizzate in situazioni pubbliche, quali a tutti gli effetti è una presentazione. Pertanto, una presentazione è un accesso nel sociale, se si vuole, nella società. Non è un atto privo d’interesse concettuale: è il superamento di una soglia. Un’individualità, qualsiasi sia la sua natura, si carica, per tramite di una presentazione, di significato sociale, varca una soglia. Per questo il senso paradossale di una presentazione è quello di essere, al contempo, soglia e superamento di detta soglia, una volta compiutasi la presentazione.

Foto da performance HUMAN BOX
[dettaglio da lato aperto]
(Lecce, E-Lite Gallery - ph C. Pellegrino)

Questa paradossalità (sebbene abusi forse di questo termine nel presente contesto) nel caso dell’installazione di Massimiliano si sdoppia, si sfasa ulteriormente, nella misura in cui quest’oggi assistiamo all’entrata in società di un’opera che si accanisce, violentemente seppur con garbo estetico, contro quella stessa società cui accede stasera. Lungi dal voler fornire qualsivoglia spiegazione dell’opera – giacché se di un’opera si tratta essa non può né deve essere spiegata, ma forse solo provata, in un’autentica esperienza estetica individuale (di ciascuno) che, son certo, essa sarà in grado di suscitare in quanti siano aperti a riceverla – lungi dunque dal volerla spiegare, mi limiterò a coglierne, e ad offrirvi, qualche spunto o, meglio, qualche movente (qualcosa, cioè, che muova). 
In molti osservano, a tutt’oggi, non senza con ciò riferirsi a certe lungimiranti intuizioni del passato, che la congiuntura storica “che siamo” in questo frangente non è priva di certi inattesi controsensi, generatisi forse da vecchie incomprensioni o comunque da troppo facili prese di posizione. La lotta in nome della libertà è forse una delle battaglie più degne e meritorie cui ci si possa consacrare. Ciononostante, ci si dimentica troppo spesso che questo termine non possiede un significato univoco e che anzi esso sorge ogni volta dal contesto all’interno del quale lo si applica: non esiste una libertà in senso assoluto. La libertà è tale sempre rispetto a qualcosa, è sempre “in situazione”.

Foto da performance HUMAN BOX
[dettaglio esterno]
(Lecce, PrimoPiano LivinGallery - ph L. Cannone)

La necessità di sentirsi liberi implica sempre la presenza di un vincolo rispetto al quale s’intenderebbe proclamare la propria libertà, la propria autodeterminazione. Il suicida è un buon esempio, anch’esso alquanto paradossale, del carattere sempre contestuale della libertà. Peraltro, non si dà libertà senza legge, intendo dire che senza legge non può sorgere, non può innescarsi quel processo del desiderio, assai personale, in cui ciascuno di noi dovrebbe sapersi identificare. In assenza di una legge, di un comando, non è pensabile libertà, perché non è pensabile desiderio, rispetto al quale la libertà può forse essere assunta come sua attuazione. Il desiderio, peraltro, è un affare assai individuale, per certi versi è una sorta di destino individuale allo stato larvale, la cui maturazione implica appunto la conquista graduale della libertà, come percorso, come operazione e, solo in tal senso, come lotta. Ad una direzione, ad un desiderio cosciente e, quindi, ad una libertà efficace si sostituisce piuttosto uno spaesamento radicale, e per questo vincolante, peraltro mascherato ad hoc da potenziamento delle possibilità, della/e libertà, appunto. A farne le spese, immancabilmente, la comunicazione. Sebbene, infatti, siano a tutt’oggi molteplici le modalità per garantirla e diffonderla, quest’ultima sembra sempre più assottigliarsi, privarsi della sua autenticità. La comunicazione è, infatti, un complesso processo di accoppiamento che si fonda sulla reciprocità e che non può non coinvolgere altresì il corpo, un corpo, però, vissuto, non piuttosto reificato, fatto cioè cosa posata e dimenticata. Il vero vincolo alla libertà risiede nell’eccesso della stessa, ovvero nello snaturamento della libertà stessa: l’assenza di vincoli è assenza di libertà, di desiderio, è raddoppiamento delle catene, è bulimia. Ammalati di “troppo” ci ritroviamo a fingere una libertà che ci sega polsi, fianchi, basso ventre, polpacci e caviglie…

Foto da performance HUMAN BOX [dettaglio interno]
(Galatina, P. Art - ph S. Schirinzi)

Cosa fare? Sarebbe triviale rispondere che occorre restare vigili per non farsi gabbare, per non farsi turlupinare. Il “troppo” è il vero malessere di oggi, le vere assi che ci trattengono e separano dal desiderio in tutte le sue forme. Ma siccome l’uomo è un essere dell’eccesso, per cui il giusto mezzo è una regola esogena e spesso esangue, occorre forse fare in modo che questo eccesso si riterritorializzi dal “troppo vincolante” (perché privo di autenticità) verso “squilibri” più autentici, più coscienti, perché più individuali e personali. Come al solito, si tratta di vedere e accettare la sfida, perché ancora una volta nel pericolo si cela anche ciò che salva. In ultima analisi, mi sembra proprio questo il tacito, quanto destabilizzante, suggerimento che proviene dall’installazione di Manieri.

(GIOVANNI CARROZZINI Studioso free-lance & Lettore Compulsivo)

COLLABORAZIONI:
con la partecipazione di Michaela Stifani
engineering Box a cura di Emanuele Mariano


ASSISTENTE DI SCENA:
Simona Schirinzi


LUOGHI ESPOSITIVI:
Atto performativo realizzato nell'ambito di:

-per mostra GLOBAL CONNECTION SHOW:
 a cura di Dores Sacquegna
 Primo Piano LivinGallery, Lecce 08/06/13 

-per serata COLLEPASSO INVESTE D’ARTE
 a cura di Roberta Mandorino
 Palazzo Baronale, Collepasso 05/07/13 

-per mostra EPIDEMIA DELL’ARTE
 In collaborazione con L’Auramente e Art&Ars Gallery
 P. Art, Galatina 25/07/13  

-per mostra IL MONDO DI TARSHITO (architetture di luce)
 In collaborazione con E-LITE Gallery,
 In collaborazione con STEREO REV,
 a cura di Ilario Vadak (a.k.a. Ozeel) e Andrea Calella (a.k.a. Queemose)
 E-LITE Gallery, Lecce 13/11/13

-per evento LE CORTI A MEZZANOTTE
 a cura di Katia Olivieri
 Palazzo Galluccio - centro storico di Galatina, 22/08/14 

-per evento SAGRA ELETTRONICA
 Masseria Ospitale - Lecce, 22/07/17


LOCANDINA PERFORMANCE:
Ph: fonte internet - grafica: Anna Paola Fiore


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